ROMA ? «Io spero nel buon gusto degli italiani, quando c'è di mezzo la passione siete voi gli intenditori», dice Natasha Richardson. Ha lottato sette anni per fare il film Follia (Asylum) in uscita il 15 giugno. «Abbiamo modificato non so quante sceneggiature, poi non avevamo il regista...».
Sembra difficile credere agli imprevisti, visto che in Italia il romanzo di Patrick McGrath è stato non un «caso» ma «il caso» letterario; in nove anni Adelphi l'ha stampato in quaranta edizioni, 500 mila copie. La passione letale tra la moglie di uno psichiatra di un manicomio criminale vittoriano e un artista, Edgar Stark, uno scultore detenuto per un efferato uxoricidio. «Il romanzo l'ho letto tutto d'un fiato, morbosamente, in una sola notte», dice l'attrice, figlia di Vanessa Redgrave e Toni Richardson. L'autore è cresciuto in Inghilterra e vive tra Londra e New York. «Questo mio libro ? confessa ? nasce da un'esperienza che ho vissuto da bambino, a dieci anni. Allora vivevo vicino a una clinica psichiatrica e si diceva appunto che la moglie di uno psichiatra aveva avuto una storia con un folle». In Usa l'accoglienza al film è stata tiepida, Natasha non ricorda nemmeno quanti incassi ha fatto. «L'hanno anche vietato. In Inghilterra invece abbiamo avuto ottime recensioni. I produttori americani mi chiedevano di trasferire la storia nel loro Paese, e di portarla ai giorni nostri. Non poteva funzionare, non avrebbe avuto senso. È una storia di quei tempi, gli anni '50. Quella donna, Stella, non ha lavoro e oggi sarebbe poco credibile. E poi viveva in un tipico ambiente inglese di allora, strutturato in rigide e soffocanti classi sociali.
È prigioniera di un matrimonio infelice, ostaggio del marito, anche se poi ha uno scatto, cambia, la sua è una ribellione, in fondo. Gli americani sostenevano che è troppo vittimista, avevano paura, ritenevano troppo scuro e cupo il materiale narrativo, non mandavano giù il fatto che quella donna assiste impotente al figlio che annega». Così Natasha Richardson è sia protagonista che produttore esecutivo del film, diretto da David McKenzie e realizzato grazie alla Paramount Vantage. C'è la partecipazione del grande Ian Mc- Kellen, direttore del manicomio. La scena dell'annegamento viene restituita in un'atmosfera rarefatta. «Quel momento lo vive tutto nella sua testa. Io non sono Stella nella mia vita, ho due bambine. Però la capisco, mi sento di solidarizzare con lei, anch'io sono romantica. Stella è autodistruttiva, perderà tutto, famiglia, posizione sociale, figlio. Non ho mai perso il controllo, non mi sono mai trovata in una situazione senza sbocco. Ma il confine tra restare nei ranghi della società e scendere nel precipizio può essere molto labile ». Le scene di sesso... «È la prima volta che mi espongo così. Il mio primo rapporto con Edgar (Marton Csokas) è primitivo, nella serra mi possiede come un animale, il pavimento era in pietra, la mia schiena era davvero malridotta. Mi trovavo in una condizione vulnerabile. Eppure mi sono sentita protetta. David, il regista, all'inizio delle riprese mi ha detto che voleva essere realista, mi ha chiesto se me la sentivo. Gli ho promesso di sì». In un primo tempo nei panni di Edgar doveva esserci suo marito, Liam Neeson. «Liam non era così appassionato alla storia come me. Non accettava l'idea che il mio personaggio soffrisse così tanto». Sorride: «Certo con Liam sarebbero state più facili le scene di sesso». L'incasso all'anteprima romana del film, il 5 giugno al cinema Metropolitan, sarà devoluto all'associazione «Il Mattone», la comunità di Genzano di artisti colpiti da disagio psichico dove ha lavorato il cantante Simone Cristicchi, vincitore di Sanremo.
fonte:corriere.it